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venerdì 3 maggio 2013

Chi ha visto me...

"Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?
Chi ha visto me ha visto il Padre." (da GV 14).


La Sacra Liturgia di oggi ci invita a festeggiare con la Chiesa del Cielo gli Apostoli Filippo e Giacomo, forse non così "famosi" come altri che vengono rammentati più spesso nei testi dei quattro Vangeli o negli altri scritti del Nuovo Testamento.
Ma anche loro rientrano nell'orizzonte di quei dodici "chiamati" per essere "inviati" che la Chiesa considera come suo fondamento e principio della Tradizione, cosiddetta "Apostolica".
E ciò che mi colpisce della Parola di oggi è proprio la parte del dialogo che ho riportato sopra. Anche noi, spesso, abbiamo sulle labbra il nome di Gesù, ne siamo i più prolifici pronunziatori. Ma abbiamo capito o no che "chi vede Lui vede il Padre"? Vedere in che senso? Occorrono gli occhi del corpo? Vedere, in questo caso, assume un tratto più sostanziale; è un contemplare un prendere atto di questa Presenza che non è ideale, non è un buon auspicio: Gesù ci tiene a rimarcare che è sostanza.
Anche noi abbiamo da sempre vicino Gesù: e ancora non l'abbiamo conosciuto. Non abbiamo aperto la nostra mente e la nostra interiorità ad accettare che Lui è Dio, perchè il Padre è in Lui e lui nel Padre.
Non è un problema di comprensione intellettuale. E' un fatto di fiducia, di apertura indiscriminata alla realtà celeste, della quale facciamo parte anche noi, pur distaccandoci costantemente da questa.

Vogliamo vederti, Gesù, per gusare in te la presenza totale di Dio, che ci accoglie in questo dolce abisso di Amore.
Con Filippo, come bambini genuinamente curiosi, ti chiediamo di mostrarci la profondità del Tuo Cuore varcato dalla lacia, aperto per il nostro passaggio.
A lode di Cristo!

Per contattare il curatore del blog, scrivere a: clausura@hotmail.it

giovedì 2 maggio 2013

Cambiarsi da dentro per diventare Eucarestia. Silenziose vittime per amore.

Continuamente abbiamo bisogno di convertirci, cioè di "voltare" il nostro sguardo e la nostra attenzione al Monte della Croce, dove l'Unico Sacrificio Utile ci ha salvato, nel nostro tempo e nella storia della nostra vita.
Voltarsi per guardare e fare nostro quel modo di essere di Cristo.
Donarsi senza ottenere niente in cambio, se non la certezza del disprezzo e del disonore.
Farsi inchiodare per abbracciare nel silenzio e nella solitudine del proprio venerdì santo tutti i fratelli, soprattutto quelli che non si conoscono e che - se conosciuti - avremmo evitati.
Voltarsi è cambiare i propri atteggiamenti, i costumi, la logica delle cose. Questo lo si fa solo da dentro, ma non da soli.
Lo si fa da dentro dopo aver fatto entrare Gesù e il Suo Nome Salvifico, l'unico "sotto il quale possiamo essere salvati".
E' una coabitazione dolce, dove la Santa Solitudine e il Silenzio sono i convitati fedeli e permanenti di una vita dedicata a cambiare se stessi, per essere sacrifici universali accetti a Dio.
Si cambia per se stessi, per la salvezza della propria anima, che è preziosa agli occhi di Dio: niente, per il Padre, è prezioso come la vita di ciascuno di noi, l'anima che ci fa simili a Lui.
Ma si cambia e si punta alla nostra salvezza non per un tragitto di strada da fare da soli. Chi cambia da dentro e chi vive la dimensione silenziosa dell'Opera che Gesù compie interiormente, lo fa per essere una vittima sull'altare del Cielo. Un sacrificio della propria umanità, unito a quello Eucaristico dell'Umanità di Cristo, per guadagnare anime per il cielo e strapparle al buio gelido dell'abisso infernale.
Chi si incammina verso questa personale eucaristizzazione sa che non è facile, ma nemmeno brutto, nemmeno aspro, nemmeno senza sentimenti. E' una storia d'amore che Gesù vuol fare con ciascuno di noi.
Se ti senti predisposto/a non dubitare del Suo Amore. Lui solo non delude mai.
A lode di Cristo!

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mercoledì 20 marzo 2013

La Natura Divina della Chiesa

Torno a scrivere su questo blog alla fine della Quaresima, un tempo di grazia per chi lo vive seondo il suo tipico carattere di "tempo forte", forgiato nella penitenza, nella riuncia e - prima ancora - nella preghiera.
Questo Tempo di Quaresima che adesso volge al termine ha portato alla Chiesa Cattolica diverse sorprese: la rinuncia del Venerato Pontefice Benedetto XVI, la conseguente Sede Vacante e l'elezione del nuovo Pontefice Francesco.
Anche all'eremo sono giunti i frastuoni della meraviglia prima e della gioia poi, per tutto quello che è accaduto, anche se l'assenza di tv e radio attutisce provvidenzialmente il chiasso, soprattutto attorno a ciò che deve rimanere nella comprensione interiore la Volontà di Dio.
Tutto questo ci apre alla considerazione che la Chiesa - nelle sue varie sfaccettature - è una comunità in perenne cammino e in continuo rinnovamento.
E forse vale la pena chiarirsi un po' le idee su questa parola spesso abusata: "RINNOVAMENTO".
Cosa significa questo, per la Chiesa? Trovare qualche compromesso col mondo, magari su temi sensibili, o su questioni politiche o economiche? Dire qualche "si" che prima era un "no"? Mutare la propria natura da DIVINA  a SOCIALE, dimenticando il Suo vero scopo?
Ovviamente no; come ho detto sopra, la natura della Chiesa è Divina e non è di carattere sociale o filantropico; la carità è la principale conseguenza dell'essere membra del Corpo Mistico, non la causa di esso. La fede viene comprovata e resa piena con le opere, ma non sono le opere che rendono la fede tale.
Il RINNOVAMENTO per la Chiesa è un CONTINUO RITORNO AL VANGELO, alle sue esigenze, al suo dettato, alle "cose" che pone al centro. Questo è essere continuamente nuova, per la Chiesa.
C'è da augurarsi che questa idea penetri sempre di più il tessuto dei Battezzati, sacerdoti anch'essi in virtù del Sacramento che hanno ricevuto.
E proprio alle soglie della Settimana Santa, la Settimana Maggiore, vogliamo fare nostra la sollecitazione dell'Apocalisse: "...Io sto alla porta e busso...". Solo noi possiamo aprire e trasformare il nostro cuore cristiano nella cella del'incontro col Signore.
La nostra bellissima tradizione bimillenaria ci ha posto davanti figure eccellenti che hanno condotto generazioni e generazioni di Battezzati all'incontro  con Gesù nel segreto del cuore, ponendo il Vangelo al centro della scelta, come lampada per il percorso, come premio finale.
Anche noi, con il nostro piccolo contributo, fatto di uno stile di vita improntato a questo, possiamo rendere la Chiesa sempre più luminosa nella sua Natura Divina, profetica, maestra di vita e specchio della Bellezza di Dio.
Una bellezza che rifulge nei gesti, nei riti, nelle parole, nelle opere dell'arte sacra e nel Sacro Silenzio, al quale siamo tutti un po' disabituati.
Ritorniamo a Lui, e anche nei momenti di sconforto affidiamoci alla Sua Mano. La Chiesa è di Gesù e Lui sa dove condurla.
A lode di Cristo!


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giovedì 17 gennaio 2013

Sant'Antonio Abate. Un giorno da vivere senza ridicolizzarlo.

Oggi ricordiamo nella Liturgia la Santa figura di Antonio Abate, monaco del deserto, quindi eremita, taumaturgo e comunemente conosciuto come protettore degli animali.
So che in tante parti di ogni regione d'Italia, in questo giorno o nella domenica immediatamente vicina, si fanno celebrazioni anche con la partecipazione di animaletti domestici, la cui vita si affida a questo Santo così affascinante e - al tempo stesso - così poco conosciuto.
Questo blog, per sua natura, non è adatto a tratteggiarne la biografia e per soddisfare questo tipo di conoscenza in internet c'è tutto il materiale possibile.
Voglio soltato puntare una luce sul fatto "costitutivo" di Antonio; egli è MONACO, ancor prima che anacoreta, eremita, padre del deserto.
Ha quindi scelto la totalità della dedizione a Dio, il rivolgere costantemente la propria interiorità, la propria mente e anche la propria fisicità alla coabitazione con Dio soltanto, in uno stile di vita totalizzante, ancor più accentuato dalla caratteristica del deserto. Quest'ultima non deve essere considerata in senso fisico: quando si parla di deserto ci vengono immente le immagini del Sahara, delle dune di sabbia, di paesaggi in cui la sete e il caldo assieme alla monotonia quasi spettrale sono i protagonisti principali.
Il deserto del Monaco è prima di tutto un luogo interiore, la cella del proprio cuore; una coabitazione con Dio nel Silenzio e nella Solitudine che sono al contempo custodi del deserto stesso, ma anche fedeli e leali specchi della vita del Monaco. Il deserto è quello spazio (che diventa spazio d'incontro) nel quale abitano l'essenziale e l'Essenziale. Nient'altro. Provate ad entrare nella cella di una certosa (non necessariamente di quelle ancora abitate dai Monaci, perchè non è consentito a nessuno) o guardate qualche immagine in rete: non troverete niente oltre all'essenziale e a quel che può servire al Monaco per "fare deserto". Un deserto che mette a nudo ciò che si è, senza pietà; che spesso - soprattutto agli inizi - può inquietare, mandare in crisi e far piangere lacrime amare, perchè si scoprono debolezze, zone d'ombra e soprattutto si scopre quanto ancora c'è da camminare. Ma è soprattutto il deserto dell'incontro col Maestro, che direttamente guida verso la contemplazione, passando per l'ascolto e la ruminazione della Parola, per approdare alla preghiera, spesso bagnata da lacrime di sincera emozione.
Antonio sente nella Parola di Dio il chiaro invito a lasciare tutto, vendere tutto e andarsene. Dove? Nel deserto. "...vai vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri. Poi vieni e seguimi". Dove, Signore? Quale incarico mi darai? Cosa potrò fare di visibile, di utile, magari di prestigioso? Niente, figlio. Siediti con me e conversiamo, tracciamo il cammino della tua salvezza, prima di tutto e della tua progressione interiore.
Questo si è sentito divampare improvvisamente nel cuore Antonio.
Dette oggi queste cose, che effetto fanno?
Si corre, si progetta come se dovessimo vivere mille anni; ci si aggrappa a tutto come se ogni cosa fosse nostra in eterno; la parola d'ordine è "fare" e sempre meno spesso "sostare, ascoltare, pregare, elevarsi". Certo, anche queste ultime parole richiamano ad un "fare", ma molto più sottile, legato ai moti dell'anima, non al galoppare della mente appagata da progressive effimere tappe umane.
E allora,  cosa ha da dirci oggi Padre Antonio, Monaco eremita? Basta una semplice benedizione sui nostri amici animali per apprezzare la ricchezza di questo carisma così grande? Apprendiamo con un semplice gesto devozionale che Antonio è una figura totalizzante e spiazzante?
Fratelli e sorelle, domandiamoci tutto questo, in qualunque stato di vita ci troviamo. Perchè anche dai nostri gesti, da quel che diciamo e viviamo, gli altri traggono testimonianza e termine di paragone.
A nessun battezzato è consentito sminuire la grandezza della propria consacrazione e del proprio sacerdozio regale, nemmeno nel vivere con superficialità la memoria di un uomo che ha reso grande il Silenzio e la Solitudine, restituendo (nel suo tempo ma anche nel nostro) la dignità della scelta evangelica, che non contempla la mezza misura o la parola ambigua.
A lode di Cristo!


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mercoledì 16 gennaio 2013

Ritorno al Tempo Ordinario

Da qualche giorno siamo tornati al cosiddetto Tempo Ordinario, dopo aver celebrato nel Memoriale Liturgico i Misteri della Nascita e dell'infanzia del nostro Signore e Dio Gesù Cristo.
La dolcezza di quei giorni, il grande tema della luce, il clima di festa praticamente permanente lascia il posto ad un Tempo che nella Chiesa viene chiamato Ordinario, ma non dobbiamo farci trarre in inganno da questa parola.
Ordiario non significa - in questo caso - qualcosa che scorra quasi inosservato, di minore importanza o qualcosa del genere.
In questo tempo la Parola ci interpella a fare nostri i Misteri della Vita Pubblica del Signore, che proclama il Regno, insegna con gesti e parole "intimamente connessi" la necessità di cambiare prospettiva per fare nostra l'Eredità del Regno dei Cieli.
Anzi, è proprio in questo incedere di fatti e di proposte della Parola di Dio che siamo chiamati a far scorrere nell'ordinario della nostra esistenza quotidiana lo straordinario del Mistero celebrato nel Sacrificio Eucaristico. Siamo chiamati a non consentire che tutto diventi piatto, informe, grigio.
Celebrare significa far nostri Parola e Pane per rendere straordinaria la condizione che viviamo, qualunque essa sia.
Allora, fratelli e sorelle carissimi, viviamo questo tempo con devozione e con intensità di preghiera, conservando nel cuore con attenzione ogni parola udita dalla Parola. Perchè diventi carne in noi e non soltanto idea  o bel proposito. Queste due destinazioni servirebbero a ben poco.
A lode di Cristo!


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