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venerdì 27 gennaio 2012

Io pretendo che tu mi ami!

Queste sono le domeniche dell'annuncio del Regno.
La Liturgia della Parola di queste settimane ci proietta in un contesto in cui Gesù si fa promotore in prima persona di un richiamo forte, destinato a scuotere in molti modi le coscienze spesso sopite del suo tempo e di quello futuro: "Il tempo è COMPIUTO, il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo". Potrebbe sembrare un'affermazione di principio, un richiamo quasi "politico" ad una nuova visione di quella società martoriata e oppressa dalla intollerabile e intollerata dominazione romana. Ma non è così. Gesù mette in gioco tutta la Sua persona, perchè la compiutezza del tempo, il Regno e il Vangelo coincidono perfettamente con Lui. Lui è il tempo compiuto, in cui Dio "squarcia i cieli" e scende per partecipare alla storia del mondo; Lui è il Regno, l'inizio di una nuova e definitiva realtà che fende le piccole certezze e strutture umane; Lui è il Vangelo, la Buona Notizia, la Parola fatta carne, che fonde in se gesti e parole "intimamente connessi".
Sono passati venti secoli. Che fine ha fatto quella spinta propulsiva? Si è esaurita? No, assolutamente. Ancora oggi, pur nella difficile situazione secolarizzata e biecamente laicista di tanti paesi di questo mondo, Gesù continua a scuotere, a chiamare, a interrogare.
Fa quasi sorridere la pretesa di alcuni di mettere Dio fuori dal conto della storia; come se nel segreto del nostro cuore, della nostra casa, nell'intimità delle speranze più nascoste non sentissimo tutti (laici, religiosi, oltranzisti o meno...) il desiderio di essere presi per mano e guidati da questo "Non si sa Chi" che percepiamo a priori nella nostra natura. In quella natura che spesso non osiamo affermare come creata e vivificata da Dio, perchè ce ne vergognamo... perchè mettere Dio nel conto delle nostre cose non va di moda, non è attuale, dicono alcuni.
Secondo me non è attuale toglierlo di mezzo, perchè uomini e donne che si dicono progrediti non possono eliminare dalle spinte della loro esitenza quella di Dio, al pari di un grande imbarazzo, che - a detta di molti dalla vista corta - imbavaglierebbe le "aspirazioni legittime" all'autodeterminazione, alla preordinazione umana del bene e del male, alla "deificazione" delle proprie possibilità. Insomma, legalizzare e legittimare moralmente e antropologicamente una nuova caduta nell'Eden, non essendo bastata - a quanto pare - la prima.
Eppure basta poco per ritornare in noi stessi: basta che la natura faccia udire la propria voce, o che siamo toccati da qualcosa di più grande dei nostri presunti progressi per capire che abbiamo dei limiti; basta per sentire il bisogno, il desiderio, quasi la pretesa che Lui ci prenda per mano. Si, la pretesa. Ed è bello, da figli, che spesso si accorgono di aver voluto fare tutto da soli, torniamo anche con atteggiamento risoluto dal Padre. Lui lo sa che non lo facciamo perchè abbiamo dei diritti, ma perchè Amore chiama Amore, anche con la forza di un fendente verso il Cuore stesso di Dio.
Non abbiamo paura di convertirci, non ci sono forme prestabilite per la conversione. Mettersi di fronte alla Presenza (volto) di Dio è già un gran passo. Il resto segue la spontaneità di un Amore che sta stretto nei codici e codicilli di atteggiamenti che servono solo a gettare fumo negli occhi.
A lode di Cristo!


Per contattare il curatore del blog, scrivere a: clausura@hotmail.it